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Mohammed El Hajoui solo show, Studio la Linea Verticale Bologa, Finito-Atba-Infinito 5.jpg

ARTIST

Mohammed El Hajoui

CRITICAL TEXT

Emanuela Zanon

DURATION

24.10-29.11.2025

HOURS

Tuesday to Saturday, 4:00–7:30 PM. Closed on November 25.

FINITO-ATBA-INFINITO

24.10-29.11.2025

Venerdì 24 ottobre, dalle 17 alle 20, Studio la Linea Verticale inaugura Finito-Atba-Infinito, mostra personale di Mohammed El Hajoui, presentata dal testo critico di Emanuela Zanon. L’esposizione, aperta fino al 29 novembre, si configura come un itinerario simbolico che, muovendo dal limite dell’umano, attraversa la soglia per approdare a uno spazio privo di misura, in cui materiali umili, gesti rituali e strutture geometriche si saldano a una dimensione memoriale e spirituale. In questo intreccio, le opere si costituiscono come dispositivi liminali: radicate nella materia ma orientate verso una tensione ascensionale che interroga la soglia tra finito e infinito. Abstract C’è un punto in cui la materia si assottiglia e lascia passare il respiro dello spirito. È in questa soglia sottile che si muove la ricerca di Mohammed El Hajoui, tra radici e aperture, luce e cenere, tracce che trattengono la memoria e forme che si dissolvono nell’ampiezza. Finito–Atba–Infinito è un percorso circolare che parte dal limite dell’umano per varcare l’“atba” – la soglia – e spingersi oltre, dove ogni misura si perde. “Atba” è passaggio, eco, rinascita: un invito a oltrepassare, a lasciare che la materia si apra verso ciò che non ha confini. «Ho fatto uno studio del mio passato. Di ciò che negli anni ho vissuto da bambino in Marocco con la mia famiglia, delle usanze della mia cultura, dei giorni quotidiani trascorsi nella mia casa, delle feste ancestrali e dei concetti di fede della mia religione.»
(Mohammed El Hajoui) La memoria diventa gesto, rito, immagine. Nelle opere esposte, materiali poveri e geometrie si fanno tracce vive, aperture verticali che bucano l’orizzonte. Ogni segno trattiene e libera insieme, come una porta che resta aperta: radica nello spazio e allo stesso tempo lo solleva. Allo Studio La Linea Verticale, questa ricerca trova una risonanza naturale: qui la verticalità non è solo direzione ma linguaggio, un canto silenzioso che invita a riconoscere la nostalgia dell’Infinito custodita in ogni forma terrena.

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PRESS
BIO NOTES

CRITICAL TEXT
By Emanuela Zanon


 

Nella sottile intercapedine che separa un luogo da un altro si manifesta qualcosa di essenziale: il sorgere di quella tensione trasformativa tra appartenenza e distacco che prelude l'atto di aprirsi all'ignoto, a sua volta premessa ineludibile di ogni incontro autentico. Se la soglia – atba* in arabo – segna il confine tra ciò che conosciamo e ciò che potremmo scoprire, la porta si configura come diaframma simbolico per eccellenza, oltrepassando il quale l'identità accetta di lasciarsi contaminare dal mistero dell'alterità. Emblema universale di accoglienza, la porta rimarca anche la separazione tra un dentro e un fuori potenzialmente ostili, ricordandoci come ogni attraversamento implichi l’accettazione dell'imprevisto. Per Mohammed El Hajoui, cresciuto tra Italia e Marocco, l'interrogazione della soglia intesa come dispositivo di trasformazione è il nucleo generativo di un processo concettuale di matrice autobiografica alimentato dall’incessante rielaborazione della sua doppia appartenenza culturale, che utilizza tale condizione interstiziale come fondamentale risorsa espressiva. Le opere su carta e tela che accolgono il visitatore nella prima sala appaiono come prodigiose architetture di luce e vuoto intagliate a mano con un bisturi che non ammette errori, inseguendo gli andamenti di una grafica geometrica esponenziale in cui convergono rigore matematico e scansione del tempo interiore. I pattern astratti riprodotti dall'artista, desunti dalla tradizione decorativa islamica del Maghreb e del Medio Oriente, non sono mai citazioni didascaliche, ma libere riscritture personali, dove motivi provenienti da culture diverse si intrecciano per dare forma a un linguaggio sincretico. All'origine delle scelte cromatiche di questi lavori troviamo impressioni visive cariche di valenza affettiva, come il celeste delle pareti delle case marocchine della sua infanzia, il giallo di un altro appartamento in cui l’artista ha vissuto, il nero che custodisce il segreto dei santuari islamici visitati da bambino. La virtuosistica tridimensionalità degli spessori ritagliati istiga lo sguardo a penetrare oltre la griglia di quegli intrecci delicati e conduce il ragionamento a interrogarsi sul loro duplice statuto di aperture e barriere. Le porte di El Hajoui sono elegantissimi miraggi a bassorilievo capaci di cristallizzare l'imminenza di un attraversamento da compiere in solitudine e il senso di sospensione che lo precede. Il cuore pulsante della mostra si svela nella seconda sala della galleria, uno spazio raccolto, assimilabile in questo nuovo assetto provvisorio a una cripta luminosa. Qui l'artista trasforma il pavimento in un grande tappeto effimero realizzato con polveri colorate, al centro del quale una porta monumentale (la versione scultorea dei trafori della prima sala) si erge come un monolite inaccessibile. L'installazione richiede ai visitatori un atto di fede: camminare ai margini accettando di essere messi alle strette nel risicato corridoio dove il colore non è stato depositato, sfiorare il perimetro del lavoro senza potervi accedere, negoziare a distanza la propria relazione con l'opera. Qui il lavoro di El Hajoui rivela appieno la sua natura paradossale e utopica: la perfezione dei pattern geometrici creati dal pulviscolo cromatico, risultato di ore di lavoro meticoloso e della reiterazione di gesti codificati come quelli di un rituale, trova il proprio compimento proprio nella dissoluzione finale. La polvere, materiale povero e volatile, è infatti destinata a essere progressivamente scomposta dal passaggio del pubblico, che per tutta la durata della mostra diventerà agente attivo dell'opera modificandone la configurazione. Oltre alla preziosità della sua bellezza, il rarefatto paesaggio mentale evocato da quest’installazione esprime nei suoi elementi costitutivi una complessa stratificazione simbolica. Anzitutto, nella cultura marocchina il tappeto è il luogo dove si dorme, si prega e si accolgono gli ospiti: più che un oggetto è un testimone che attraversa le generazioni incorporandone le memorie. In secondo luogo, il movimento circolare attorno alla porta centrale non può fare a meno di evocare il tawaf, la circumambulazione rituale della Kaaba, qui secolarizzata come esperienza estetica e concettuale. I visitatori, inconsapevoli pellegrini laici, girando intorno all’enigmatico fulcro scultoreo, creano una coreografia collettiva involontaria, dove la dimensione individuale e quella comunitaria si sovrappongono. Infine, l’attitudine meditativa richiesta dall’opera ha origine nel suo stesso processo di realizzazione, compiuto attraverso gesti che ricordano la prosternazione rituale della preghiera: abbassarsi, posizionare gli stencil con precisione millimetrica, agitare il setaccio per spargere la polvere, alzarsi, spostarsi di pochi centimetri, abbassarsi ancora. Il finito nella circoscrizione ossessiva del dettaglio, l'infinito nella moltiplicazione inarrestabile del modulo, e tra questi due estremi tra cui l’artista fa la spola, atba, lo spazio liminale dove tutto è possibile e il confine tra sé e l'altro si fa permeabile. Le opere di Mohammed El Hajoui aprono coinvolgenti interrogativi su questioni di appartenenza e autorappresentazione, sulla dialettica tra controllo e abbandono, sulla continuità delle forme nel tempo. Sono inviti a sostare sulla soglia, a guardarsi intorno prima di decidere se entrare o restare fuori, suggerendo che forse è proprio su quella linea di confine che si gioca l’esistenza. *La parola “Atba” prova a trasferire in una sonorità italiana l’espressione “3atba”, con cui nel linguaggio digitale o nel parlato arabo informale viene traslitterata la parola عتبة, cioè “soglia”. Il numero 3 viene usato per rappresentare la lettera araba ع (‘ʿAyn), un suono gutturale senza corrispettivo in italiano. Le sue opere si nutrono di riferimenti alle tradizioni e all’architettura del mondo arabo-musulmano, reinterpretate come simboli di ospitalità e strumenti per preservare radici culturali a rischio di scomparsa. Il suo percorso ha trovato riconoscimento con il progetto Egira (2018–2022), dedicato al tema del transito e della migrazione, e con la residenza a Fabrica, ottenuta grazie al premio speciale dell’Arte Laguna Prize. Nel 2023 ha presentato Radici all’Arsenale di Venezia, in seguito esposta a Milano. Nel 2024 ha partecipato alla residenza di Centrale Fies, dove ha sviluppato Ardna – Our Land. Nel 2025 è stato selezionato finalista di Crea – Cantieri del Contemporaneo a Venezia, confermando la crescita e la rilevanza della sua ricerca artistica.

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Studio la Linea Verticale
​​Via dell'Oro 4B

Bologna

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24.10 - 29.11.2025

HOURS

Tue - Sat: 4-7.30pm
​​Mornings: by appointment

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