Testo di Antongiulio Vergine
The blue bus is callin’ us
Driver, where you taken us?
The Doors, The End, 1967
Non costituisce una regola il fatto che, per acquisire coscienza o sensibilità elevate, occorra necessariamente aver avuto a che fare con esperienze tragiche e segnanti. D’altronde, ogni persona potrebbe ragionevolmente affermare di aver trascorso momenti non facili nella propria vita – chi non si è imbattuto almeno una volta in ciò che Sigmund Freud definiva “lutti”? Essersi trovati a doverli affrontare, rappresenta – o dovrebbe rappresentare – comunque una sorta di “vantaggio” in relazione allo sviluppo di una certa dose di sensibilità.
Lascia sgomenti il fatto che molte delle personalità che hanno cercato di confrontarsi con una dimensione immateriale, non soltanto hanno dovuto superare eventi drammatici, ma sono finiti anche per accedere abbastanza prematuramente a tale dimensione: Jim Morrison, Rudolf Steiner, Vettor Pisani, Gino De Dominicis, Joseph Beuys, Yves Klein, Chiara Fumai, Dino Campana (soltanto per citarne alcune). Le cause/motivazioni che interruppero le loro vite sono diverse, e forse dovremmo abituarci all’idea che non potremo mai conoscerle fino in fondo – soprattutto per i casi più oscuri e intricati. Anche le modalità con cui hanno cercato di sondare e interpretare l’intangibile sono diverse, come diversi sono i criteri che hanno seguito per tentare di ricongiungere il tutto a una dimensione più carnale e terrena.
Dettagli dall'opening. In foto "Senza titolo" di Alberto Colliva. Ph: LucaBolognese.com
La mostra Immateriale-Corpo-Immateriale cerca di restituire una medesima eterogeneità di visioni. Ludovico Bomben, Alberto Colliva, Vale Palmi, Armenia Panfolklorica, Quatrième Paysage, Flavia Tritto e Claudio Valerio offrono ognuno una chiave di lettura differente dell’universo immateriale e dei rapporti che questo intrattiene col mondo conosciuto. Con sfumature e intensità differenti, ognuno di loro cerca di proiettarsi nell’intangibile abbandonando – chi più, chi meno – le salde radici del corpo materiale: Bomben con l’indecifrabile enigma dell’uovo trafitto, a metà strada tra interruzione e sospensione; Colliva con l’immagine di volti deteriorati e irriconoscibili; Palmi con la configurazione energetica di una presenza vermiglia – sorta di Übermensch che, al contrario di quello nietzschiano, è fatto solo di calore e di desiderio di andare oltre; Panfolklorica con l’alchemica unione degli opposti, mitologica conformazione originaria degli esseri umani; Quatrième Paysage con la creazione di corpi digitali, tanto potenzialmente materiali, quanto realmente immateriali; Tritto con la testimonianza di un’identità universale, declinabile in qualsivoglia quantità, qualità, genere, tempo e spazio; Valerio, infine, con l’immagine evanescente di un tentativo in potenza, forma in divenire di una pittura che si fa incessantemente tale.
Dettagli dall'opening. In foto "æntr[h]opy_1_0" dei Quatrième Paysage. Ph: LucaBolognese.com
A proposito del brano ricordato all’inizio – celebre traccia conclusiva dell’album d’esordio The Doors del 1967 – Ray Manzarek, tastierista del gruppo, avanzò l’ipotesi che il “blue bus” citato verso la metà fosse da ricondurre alla barca solare (detta anche barca celeste) degli antichi egizi, mezzo di trasporto grazie al quale il Dio Ra, traversando prima i cieli e poi gli inferi, garantiva ogni giorno la nascita del sole. Sorta di veicolo “verticale”, anabasico e catabasico insieme, permetteva, così, di superare Le Porte della Percezione – per dirla col titolo del famoso saggio di Aldous Huxley che influenzò il nome della band statunitense – e accedere a ciò che prima risultava essere sconosciuto. È per questo che mi piace intenderlo come la prassi degli artisti di Immateriale-Corpo-Immateriale: allo stesso modo, forse, di Jim Morrison, anche loro attendono che il “blue bus” li conduca da qualche parte, oltre i confini del già conosciuto. Per il resto, non resta che mettersi comodi e godersi il viaggio.
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