A seguire il testo di sala scritto da Tatiana Basso per la mostra Tendente Infinito, Lucio Saffaro - Orlando Strati - Monica Mazzone. La mostra è corredata dal catalogo ed. Pendragon con testi di Tatiana Basso, Bruno D'Amore, Carlotta Minarelli e Gisella Vismara, realizzata con il sostegno e la collaborazione dell'Associazione Controcorrente, della Fondazione Lucio Saffaro e del CSC - Archivio Nazionale Cinema Impresa. More...
TENDENTE INFINITO
Di Tatiana Basso
Del pittore, poeta, matematico Lucio Saffaro (Trieste 1929), Giovanni Maria Accame scrisse «non si coglierebbe uno dei cardini della sua opera se non si afferrasse che, qui, l’inseguimento della perfezione è vissuto come ininterrotta esperienza della sua mancanza. Una condizione che spinge l’artista a fare dell’inseguimento il proprio stato perenne e, dunque, a rendere continuamente mobile e mai compiuta la sua esperienza». Queste parole acclarano l’essenza della ricerca di Lucio Saffaro in occasione della mostra antologica a lui dedicata nelle sale del Museo di Palazzo Poggi nel 2004, a sei anni dalla sua scomparsa. Un modo di transitare nel proprio tempo, è stato quello del pittore triestino ma bolognese di adozione, improntato alla ricerca dell’ineffabile e prodigioso elemento ultimo, nella pluralità delle sue forme e nomenclature, destinato ad abitare una dimensione ontologica ulteriore, alla maniera degli inconfondibili poliedri meditabondi, sospesi in spazi architettonici e motivi ornamentali, che dalla metà degli anni Sessanta, – ma preannunciati da alcune opere del precedente periodo cosiddetto “metafisico” – l’artista elesse a soggetto primo della sua iconografia.
Ritratto di Guido Reni (opus CCLV) è il magnifico olio del 1979 con cui Saffaro dona al pittore classicista bolognese, probabilmente ammirato nella Pinacoteca della città, le fattezze di una composizione di due coni iperbolici inquadrati da una doppia cornice-finestra, resi nei toni azzurro grigi che hanno attraversato almeno gli ultimi tre decenni della sua produzione: «una delle tante varianti sul tema, come era solito fare l’artista», scrive Gisella Vismara, «sempre impegnato nell’inseguimento ontologico di figure impossibili, e nel suo vagare malinconico, alla scoperta della – nelle parole dell’artista – “più splendida tra tutte le immagini”». La teorizzazione di questa forma, metafora dell’elevazione del pensiero umano, è con «la sostanza prima dell’esistenza», «l’assioma dell’uniformità assoluta», «il cespite universale delle partizioni», assunta dall’artista a meta ultima del proprio inesausto ricercare, ordinato nel metodo da una logica geometrico matematica non risolta in se stessa, ma infusa della poesia della pittura sino a diventare strumento euristico per la trascendenza.
Come Saffaro ha illustrato nella presentazione, alla Biennale di Venezia del 1986, dell’animazione in computer graphic Nuove forme platoniche, l’immagine più bella nella forma dal poliedro stellato giunto a compiutezza potrà realizzarsi solo all’infinito attraverso la conglomerazione progressiva di poliedri. Un concetto, l’infinito, che in questo modo diventa la chiave, (la funzione), tale per cui il senso utopico di ricercare l’inattingibile, eppure perscrutabile, elemento o invariante ultimo, risieda infine nella possibilità, sempre “di là da venire”, di pervenirvi logicamente.
È un simile modo di tentare d’indagare razionalmente l’inconoscibile – dischiudendo la ratio alla lirica, all’arbitrio, alla sfera emotiva, all’accidentalità – a motivare la scelta di porre in risonanza la ricerca artistica di Lucio Saffaro con quelle di Orlando Strati e Monica Mazzone.
Dalla fine degli anni Sessanta vicino alle ricerche dell’arte minimalista e concettuale, alle esperienze dell’arte cinetica e, nonostante non figuri direttamente tra gli autori dell’“arte esatta”, affine a costoro per intendere l’esattezza non solo in termini sintattici, ma come semantica del sistema formale proposto, nel 1980 Orlando Strati (Roma 1949) interrompe il proprio percorso nell’arte. Lo riprenderà nel 2020, riversando l’esattezza dei processi analogici che conduceva, dal fotogramma diretto all’aerografo temporizzato, nell’elaborazione digitale. Alla radice analogica del lavoro di Strati guarda questa mostra, nell’attenzione riservata alla costante linguistica dei Modelli operativi. Unità elementari di una teoria formale sistematica fondata sulla correlazione tra la parte e l’intero, essi rispondono, come ha osservato Bruno Munari (1977), a una regola combinatoria endogena, che per analogia può essere rapportata alla morfogenesi geometrica delle forme biologiche o delle onde sonore sotto l’influsso delle leggi della fisica. Questa regola, stabilita dall’artista che predispone la movimentazione dei modelli – originariamente anche da parte del fruitore – lungo appositi binari come nel caso di Oggetto operativo n°4 e MULTIPLO 6-12-X, dà luogo a una “danza molecolare” permutativa i cui elementi minimi, ottenuti dalla scomposizione della circonferenza o del cerchio, possono riorganizzarsi in un intero o convergere in nuove e imprevedibili strutture segniche. Queste configurazioni, emblemi ed esiti della complementarità di ordine e caos, così della relazione tra materia ed energia, pongono il pensiero e l’azione internamente alla vita di questa grammatica armonizzandosi alla quale l’essere umano diviene infinito.
Sull’antica direttrice per cui la geometria era al pari strumento di osservazione della natura e di esplorazione interiore procede Monica Mazzone (Milano 1984), che alla disciplina fondata da Euclide accorda il ruolo di tradurre visivamente e contenere, rendendoli intellegibili, i moti dell’animo, graduati in cromie che sempre virano nella costante silenziosa del grigio. Geometria emotiva è il nome con cui l’artista ha battezzato la propria ricerca, un percorso di misurazione empirica e sublimazione delle emozioni, il cui indistinto rumore è ordinato nella forma di eleganti proiezioni ortogonali e assonometriche, arbitrariamente conformate allo scopo di decodificare e oggettivare l’incomunicabilità della psiche nella forma di un «atto di fantasia coerente», per richiamare la felice definizione, cara all’artista, coniata per le epifanie dell’arte da Bruno D’Amore. La serie Space Hurts è sintesi architettonica, che si dà nella centralità dell’esperienza incarnata, della dialettica io-mondo, e manifestazione di una fondamentale condizione alla pari di complementarità e senso d’incompletezza.
Liminali fra i linguaggi della scultura e della pittura – sono plastici gli oli su tavola, sottili come fogli le strutture in alluminio anodizzato – le opere di Mazzone sono autoritratti, alla maniera delle icone geometriche saffariane, depositarie di irrisolti quesiti di natura esistenziale. Il monumentale Trittico della misericordia, riferito nel tema e nella composizione alla Sacra Trinità, suggerisce una possibile via per l’essere, conciliatrice delle dicotomie tra spirito, corpo e intelletto, verso una rinnovata alchimia dei poli.
TENDENTE INFINITO
Lucio Saffaro - Orlando Strati - Monica Mazzone
A cura di Tatiana Basso
CATALOGO ED. PENDRAGON
Con testi di
Tatiana Basso
Bruno D'Amore
Carlotta Minarelli
Gisella Vismara
IN COLLABORAZIONE CON
Associazione Controcorrente
Fondazione Lucio Saffaro
CSC - Archivio Nazionale Cinema Impresa
INAUGURAZIONE 18 NOVEMBRE H 18
STUDIO LA LINEA VERTICALE
18.11.2023-13.01.2024
Via dell’Oro 4B | Bologna (BO)
ORARI
Dal Martedì al Sabato 15.30-19
Gli altri giorni e orari su appuntamento
www.studiolalineaverticale.it
info@studiolalineaverticale.it
+39 392 0829558 | +39 335 6045420
in | fb | ig: @studiolalineaverticale
Comments